a cura di Giangiacomo Bonaldi
In occasione della collettiva “Giovani Talenti” seconda edizione organizzata dalla UCAI Sezione di Roma alla Galleria Della Pigna di Roma dall’11 al 21 Gennaio 2023 abbiamo incontrato i protagonisti della rassegna per svelare i loro segreti e le emozioni che hanno dati vita alle loro opere.
Martina Paolantoni partecipa con le opere Superesse e Ar.Te. nell’Arte


Un breve profilo di Martina Paolantoni, della donna e dell’artista…
Sono nata nel 1985 a Roma, dove ho respirato sin da piccola la potenza dell’Arte italiana, della letteratura e della musica, anche grazie ai miei genitori che fin da giovanissima hanno assecondano le mie inclinazioni artistiche. Non parlo solo di pittura perché amo le contaminazioni tra le arti, la bellezza del Mondo in ogni sua forma.
Nel tempo libero coltivato lo studio dell’Arte, frequentando mostre, stando a contatto con alcuni maestri e critici tra cui Fabio Carapezza Guttuso, alimentando una coscienza critica. Scrivo articoli su riviste e miscellanee e sono autrice di un saggio sulla Divina Commedia. Recentemente ho fondato, con una cara amica editore, la rivista on line Arte e Territorio, con la quale promuoviamo eventi culturali di varia natura, rivolti soprattutto ai giovani.
Da dove nasce la sua pittura, come nascono i suoi quadri?
La realizzazione di un’opera non è un processo creativo fine a sé stesso, è l’espressione di un linguaggio universale. San Giovanni Paolo II, rivolgendosi agli artisti, li esortava “nel coltivare la vostra arte, a parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo […]. Cercate di toccare ciò che in essi c’è di migliore”. Il mio obiettivo è che queste parole ispirino sempre il mio lavoro.
La scrittura è la forma espressiva con cui mi sono più spesso confrontata ma la fiamma della pittura arde sempre più forte dentro di me, è un’esigenza interiore carica di emozioni. Porta con sé i travagli e le gioie che ogni vocazione artistica comporta e ogni giorno la sento più mia. Le mie opere vogliono essere un’esternazione di queste emozioni, un flusso di idee e sensazioni che si concretizza nei colori e nelle forme.
Quali messaggi è possibile leggervi?
Il senso è nel titolo della prima opera: Sopravvivere, espresso nella forma latinaSuper-esse. “Vivere” e “super”, sopra, andare oltre. Oltre le banalità della quotidianità, oltre la materialità degli oggetti di cui non abbiamo bisogno, essere grati dell’Amore e ritrovare sé stessi in comunione con gli altri ed in armonia con il Creato. Sensibilizzare il pubblico alla Bellezza per contrastare l’annichilimento culturale, in una fase fortemente stravolta e influenzata dall’esperienza delle quarantene e degli isolamenti. Quelle esperienze hanno portato le persone a confrontarsi con loro stesse, riscoprendo la fragilità dell’esistenza e cercando quindi riferimenti a cui appigliarsi: uno può e deve essere l’Arte.
A questo si lega la seconda opera, che prende le mosse dall’indelebile immagine di papa Francesco che, nella sera di Pasqua 2020, cammina da solo in una Piazza San Pietro vuota, in uno spiazzante silenzio rotto solo dalla pioggia. L’immagine di un uomo solo che rappresenta l’intera Umanità, rappresenta ognuno di noi, che ritrovandoci isolati abbiamo capito l’importanza del contatto, l’assurdità dei conflitti, l’impossibilità di salvarci da soli.
Una tavolozza ridotta al minimo. I suoi colori esprimono anche stati d’animo?
Piu dei colori, ciò che esprime al meglio il mio pensiero è il supporto sul quale ho realizzato il dipinto: un divisorio di plexiglass, uno dei tanti apparsi sulle nostre scrivanie durante la pandemia per limitare i contatti. Smontato da un apparato lavorativo e riciclato, entra a far parte dell’opera d’arte. Il contenitore diventa contenuto. Laddove la pandemia ha diviso, l’Arte ha unito.
Nel secondo dipinto, invece…
Nel secondo dipinto, invece, i colori limitati servono a creare questo contatto nel modo più diretto, trasmettere subito il messaggio di serenità e pace. Ciò viene fatto attraverso una rappresentazione astratta che vuole legare l’arte e la società nel comune carattere fluido, indefinibile, anche contraddittorio.
C’è qualcuno che ha ispirato la sua pittura, un padre spirituale?
Riconduco gran parte della mia ispirazione a due incontri. Il primo a Boston, con la pittrice americana di matrice espressionista Augustina Finamore, all’inizio degli anni duemila in un viaggio in Nord America. Lì ho sentito per la prima volta la luce della pittura accendersi dentro di me. La svolta successiva è avvenuta a Roma quando ho incontrato Maupal, uno dei trenta più influenti street artisti al mondo. Ho avuto modo di dialogare con lui e il suo invito ad assecondare la mia inclinazione artistica è stato decisivo. La sua personalità, la sua umiltà e la sua ironia, uniti alla potenza espressiva della sua arte, mi hanno dato uno slancio fondamentale.
Cosa, di un suo dipinto, mette meglio a fuoco la sua personalità artistica?
Faccio fatica a definirmi con precisione perché so di avere ancora molto da imparare, anche se dipingere è per me già una grande gratificazione, come pittrice e come donna. Sicuramente una mia caratteristica è l’animus della scrittrice, che ogni tanto prende il sopravvento e mi porta a inserire una parola, un’espressione linguistica, che possa esprimere più chiaramente il mio pensiero.
Moglie, autrice, organizzatrice di eventi culturali, tutto questo insieme alla passione per la pittura. Come riesce a conciliare ruoli tanto diversi?
Il supporto e la stima di mio marito, con il quale condivido la passione per l’Arte, sono fondamentali. E poi entrano in gioco gli stimolanti incontri che queste attività mi permettono di avere. Grazie ad Arte e Territorio sono entrata in contatto con artisti di statura internazionale come il già citato Maupal, il professor Catàmo, Francesco Astiaso Garcia, Katya Aandreva (che vedo spesso lavorare)e molti altri. Ho poi potuto conoscere scrittori,poeti eintellettuali dello spessore del professor Caputo, con il quale abbiamo appena concluso uno degli eventi per le celebrazioni del centenario di Pasolini. Ma anche musicisti e compositori come il giovane Luciano Siani. E questi interessi, apparentemente diversi, sono collegati fra loro da un comune denominatore: l’osservazione della realtà, attraverso i loro occhi, che
diventa per me uno stimolo a trovare la mia lettura del mondo.
Cosa si attende dopo questa mostra? A parte l’indiscussa levatura delle iniziative dell’UCAI e della Galleria La Pigna di Roma, questa mostra diventa l’occasione preziosa per soffermarsi a riflettere sulla necessità di tornare a favorire la coesione sociale. La speranza è che sia un passo in più affinché l’Arte e la cultura diventino strumenti per opporsi all’alienazione dell’isolamento e saper stabilire relazioni durature tra le persone, quali basi per uno sviluppo sostenibile e per la costruzione di una cultura della pace